Recensione Requiem per Il Giornale della Musica

Spoleto, Piazza Duomo con Mariangela Gualtieri. Foto di mLaura Antonelli/AGF

Valeva abbondantemente i chilometri percorsi il Requiem commissionato dal festival a Silvia Colasanti in memoria delle vittime del terremoto che ha colpito l’anno scorso i paesi dell’Appennino centrale. Quest’ampio lavoro di oltre un’ora di durata ha un doppio titolo: “Requiem”, preso dal Proprium della messa funebre, che costituisce il testo delle parti musicalmente più complesse, e “Stringeranno nei pugni una cometa”, ricavato dai testi della poetessa Mariangela Gualtieri, che essa stessa ha letto col sostegno musicale di uno strumento alla volta o anche totalmente sola, avvolta dal silenzio. La compositrice romana ha scritto una musica intensa e commovente ma senza ombra di sentimentalismo e tanto meno di retorica, con un linguaggio che è moderno, ma privo di complicazioni intellettualistiche, e allo stesso tempo tradizionale, ma arricchito continuamente di nuove idee: forse sarebbe più giusto dire che questa musica non è né moderna né tradizionale, ma fuori del tempo, come i temi eterni che canta. Subito l’ascoltatore è conquistato da un inizio semplice ma enormemente suggestivo: i coristi, spalle al pubblico, strofinano ognuno due pietre, poi iniziano a recitare “Requiem aeternam dona eis” come un mormorio appena percettibile, si girano uno alla volta verso il pubblico e il suono naturalmente diventa più presente, gradualmente cresce, lo strofinio delle pietre si trasforma in un battito ritmico, il canto subentra al parlato, mentre l’orchestra entra con lunghe note tenute degli archi, sul profondo rombo della grancassa e di una lastra metallica, forse l’eco insopprimibile lasciato nella psiche dalla terra che trema. È una musica che scaturisce direttamente da una partecipazione sincera, profonda e rispettosa al lutto delle popolazioni colpite dal terremoto e che perciò giunge direttamente a chi ascolta, con una capacità di toccare nell’intimo che la musica contemporanea sembrava aver perso. L’alternanza del testo liturgico medioevale, depurato da ogni sospetto di teatralità anche nei momenti più terrificanti come il Dies irae, e dei versi della Gualtieri arricchisce questa musica di un approccio contemporaneo e laico. Un ulteriore arricchimento della suggestione di questa musica viene dalla sinfonia di natura e architettura offerta dalla piazza di Spoleto, con la luce dorata del sole sulle pietre del Duomo che lascia gradualmente il posto alla notte, mentre le ultime rondini si uniscono alla musica delle voci e dell’orchestra. La Colasanti temeva che in un’esecuzione all’aperto qualche dettaglio della sua partitura si sarebbe perso, e probabilmente ciò è avvenuto. Ma d’altra parte il suo Requiem ha ricevuto molto dall’ambiente e non rimpiangiamo affatto di averlo ascoltato lì piuttosto che in un auditorium. L’esecuzione è stata superlativa. Il giovane Maxime Pascal è un direttore di enorme talento, Monica Bacelli nel suo ampio intervento si è confermata una cantante di grande sensibilità, Richard Galliano ha portato col suo bandoneon un tocco di semplicità e genuinità popolari. Ottimi l’International Opera Choir preparato da Gea Garatti e l’Orchestra Giovanile Italiana, con una menzione speciale per il primo violoncello Stefano Aiolli, impegnato in un solo tutt’altro che facile. Applausi sinceri, commossi e convinti dai quasi duemilacinquecento spettatori.

Mauro Mariani